Una doverosa
premessa: non ce l'ho con Arturo Checchi, che anzi stimo come
artista tant'è che intendo occuparmi della sua opera in un prossimo
futuro e farlo in termini positivi. Sono più che indignato e
reattivo (data la mia pregressa e principale attività lavorativa
quale redattore e realizzatore di libri e riviste) con chi
cinicamente ha danneggiato Checchi per fini speculativi, per di più
mentre l'artista già a fine vita era appena deceduto. Sono risentito
anche con Libro Co Italia che detiene e commercia la giacenza del
volume anziché passarlo al macero. Mi sono procurato questo libro
per poter verificare ed identificare con certezza titoli e date e
dati di acquaforti e litografie del pittore di Fucecchio, comprandolo
perché l'unico in commercio che vantava i requisiti che mi
interessavano, assenti in altre opere dignitose che avevo riscontrato
in precedenza. Per la precisione la vistosa monografia del 1962 che
gli dedica Mino Rosi, che conobbi quale amico di mio padre, edita in
un precoce offset da Amilcare Pizzi, e Arturo
Checchi. Le carte, le opere, la vita,
monografia di piccolo formato pubblicata nei "Quaderni della
Fondazione Montanelli-Bassi" da Bibliografia e Informazione,
2013.
Il
libro oggetto di questa stroncatura è Arturo
Checchi. Incisioni e litografie
e siccome l'ho acquistato pagandolo 64 euro (spese di spedizione
comprese, bontà loro) mi sento autorizzato ad infierire sulle pecche
riguardanti l'opera e il catalogo di un artista di per sè più che
dignitoso.
Cominciamo
dall'editore: Bruno Nardini, mugellano fiorentinizzato che ai suoi
tempi contava (quindi probabilmente massone o clericale o entrambi
con – perché no – qualche ammiccamento con i comunisti, cosa che
non guastava mai i galantuomini). Dopo lunga dirigenza nella
Mondadori di Verona, si fa editore in proprio: questo dovrebbe essere
uno dei primi, se non addirittura in primo titolo edito con il suo
marchio.
Il
volume è ingombrante (cm. 24X32), pesante e, come detto, totalmente
privo di apparati: manca l'Indice;
le illustrazioni hanno titolo ed anno (perché forniti evidentemente
da Checchi, che ho avuto modo di riscontrare era alquanto pignolo),
però sono prive delle misure (e non credo che siano tutte
riprodotte in scala 1:1; e, se così fosse, è necessario, nonché
utile, dirlo in qualche luogo dell'opera!); sono anche prive
dell'indicazione del colore, dell'inchiostro o degli inchiostri usati
nella stampa degli originali al torchio. Quindi cosa si può dire
ancora di non sgradevole quando una monografia e un catalogo non
riportano nessun dato, nessuno ripeto, che specifichi la singola
opera oltre – come sopra detto – al titolo e alla data? Tanto,
purtroppo: non si indica che tipo di lastra si è usato, né la carta
o le carte adoperate; tantomeno c'è l'indicazione della tiratura o
delle tirature dei vari "stati". Sono cose che hanno molta
importanza sul piano commerciale e che interessano ai collezionisti,
i quali comprano questo tipo di libri proprio per avere le notizie
qui mancanti. Infine le pagine non sono numerate, nemmeno quelle dei
testi critici!
Per
concludere questa parte, bisogna rilevare che manca una, sia pur
breve, presentazione; mancano, sia pur minime, biografia e
bibliografia dell'artista. E'assente persino (si tratta di un dato
obbligatorio per legge) il "finito di stampare" con data e
nome del tipografo! Roba da chiodi, mai vista. Se fosse un libro
fresco di stampa ci sono gli estremi per chiedere il rimborso o
chiederne il ritiro dal commercio.
Ben
sei sono gli autori coinvolti, con interventi non corposi e difficili
da trovare per l'assenza di indice e numero pagina; erano e sono
piuttosto noti almeno cinque di essi. Il sesto, Ottorino Guerrieri,
che mi giunge nuovo, è uno scrittore e critico locale. Naturalmente
di nessuno di costoro nel libro c'è il pur minimo cenno biografico o
almeno l'indicazione di a che titolo scrive in quella sede di Arturo
Checchi.
Per
una simile presa per i fondelli nei riguardi della decenza
tipografica non può valere come attenuante il fatto che la
monografia sia in realtà stata commissionata dall'Artista per
"propagandare" la propria attività. In questo caso, anzi,
direi che umanamente si configura una sorta di turlupinatura a danno
di persona inesperta e non reattiva per momentanea incapacità, dati
gli ottantasei anni e la valitudinarietà. Arturo Checchi, infatti,
morì nel 1971, quindi non fu in grado di controllare o di reagire
all'obbrobrio perpetrato a danno della sua immagine e della sua
vedova ed erede.
Nella
citata monografia del 2013 su Checchi questo pesante volumaccio
nardiniano è citato spesso come "s.i.p." (per chi non lo
sa vuol dire "senza indicazione pagina") e nella
Bibliografia colà presente a p. 122 vengono indicate due voci edite
da Nardini (1971,1972), però esse non hanno il titolo che compare in
questo libro che stiamo esaminando e che – per altro – i
rivenditori su Internet unanimemente datano 1971, edito quindi, come
già rilevato, con Checchi morente o appena defunto. Anche nel caso
del libro della Fondazione Montanelli-Bassi si è preferito da parte
dei curatori un comportamento molto ambiguo: citare i testi là dove
serviva, ignorare non solo le pecche ma l'esistenza "ufficiale"
dell'opera.
Questa
intemerata non è uno scatto umorale e quanto scritto su questo libro
è soltanto la reazione sdegnata di una persona offesa nella dignità
professionale. Per più di trent'anni, infatti mi sono occupato di
realizzare libri, importanti e cestinabili, utili e superflui, belli
e brutti, per altri editori ed in proprio, ma
tutti corretti ed
aderenti ai dettami della tipografia e dell'Editoria. Sono stati anni
di esperienze le più varie, con una partecipazione latitudinaria:
dalla correzione di bozze, all'impaginazione, dalla tecnologia alla
stesura dei testi promozionali e/o complementari all'edizione, dalla
dirigenza all'esercizio della proprietà editoriale.
Per
concludere il discorso su questa, diciamo "anomala"?,
monografia sulla grafica di Arturo Checci, spendiamo qualche parola
sui testi che sono sparsi nel volume. Si tratta di brevi saggi di
qualità ed impegno discontinui, che ci riserviamo di analizzare e
citare soltanto se significativi e complementari al Post su Checchi
che sto impostando. Il primo (Le
acqueforti) è di Mary
Pittaluga, amica di mia madre, insegnante e apprezzata studiosa di
grafica; il secondo è Umberto Baldini (su due acqueforti), laconico
come sempre; il terzo di Giuseppe Sprovieri (la xilografia); poi il
quarto di Indro Montanelli col suo "pensiero" su Checchi,
curiosamente inserito nella sezione litografie, è probabile
riproposta di testo già edito; quindi è Enrico Sacchetti, penso in
citazione stanti le diciassette righe su C. disegnatore; sesto ed
ultimo Ottorino Guerrieri (Giardini di Perugia),
città dove visse negli ultimi anni l'artista.
Concludono
la parte scritta del libro tre pagine della vedova, Zena Fettucciari,
in memoria del marito.
